Rivoluzione: fenomeno storico che comporta radicali cambiamenti nella società. Solitamente si intende per rivoluzione non un fenomeno violento o immediato, ma un processo irreversibile, da cui non si può tornare indietro.
Rivoluzione industriale: Nel 1837 l'economista francese Adolphe Blanqui, fratello del celebre rivoluzionario Auguste Blanqui, per primo parlò di “rivoluzione industriale”. Di “rivoluzione” parlò Friedrich Engels ne La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845), John Stuart Mill nei suoi Principi (1848); e Karl Marx ne Il Capitale (1867).
Il termine “industrial devolution” entrò nella storiografia ufficiale nel 1884 per opera di Arnold Toynbee che tenne una serie di Lectures On The Industrial Revolution In England (Public Addresses, Notes and Other Fragments, together with a Short Memoir by B. Jowett, London : Rivington's, 1884).
Importante per le considerazioni intorno alla irreversibilità ma anche della lentezza del fenomeno “rivoluzione industriale” si trovano nel breve saggio di David S. Landes, La favola del cavallo morto (Roma : Donzelli, 1994).
Nella manifattura la rivoluzione del modo di produzione prende come punto di partenza la forza-lavoro; nella grande industria, il mezzo di lavoro. Occorre dunque indagare in primo luogo in che modo il mezzo di lavoro viene trasformato da strumento in macchina, oppure in che modo la macchina si distingue dallo strumento del lavoro artigiano. Qui si tratta soltanto di grandi tratti caratteristici generali, poiché né le epoche della geologia né quelle della storia della Società possono esser divise da linee divisorie astrattamente rigorose.I matematici e i meccanici — e qua e là qualche economista inglese ripete la cosa — dichiarano che lo strumento di lavoro è una macchina semplice e che la macchina è uno strumento composto: in ciò non vedono nessuna differenza sostanziale, e chiamano macchine perfino le potenze meccaniche elementari, come la leva, il piano inclinato, la vite, il cuneo, ecc.] Di fatto tutte le macchine consistono di quelle potenze elementari, qual ne sia il travestimento e la combinazione. Tuttavia dal punto di vista economico la spiegazione non vale niente, perché vi manca l’elemento storico. Da un’altra parte, la distinzione fra strumento e macchina viene cercata nel fatto che nello strumento la forza motrice è l’uomo, nella macchina una forza naturale differente dall’uomo: ad esempio, animali, acqua, vento, ecc.. Da questo punto di vista, l’aratro tirato dai buoi, che appartiene alle più differenti epoche della produzione, sarebbe una macchina, e il circular loom (Telaio circolare) del Claussen, che, mosso dalla mano di un solo operaio, esegue novanta- seimila maglie al minuto, sarebbe un semplice strumento. Anzi lo stesso loom sarebbe strumento, se mosso a mano, e macchina, se mosso a vapore. Poichè l’uso della forza animale è una delle più antiche invenzioni dell’umanità, la produzione a macchina precederebbe di fatto quella artigianale. Quando John Wyatt nel 1735 annunciò la sua macchina per filare, e con essa la rivoluzione industriale del secolo XVIII, non accennò neppure con una parola che la macchina non fosse mossa da un uomo ma da un asino; tuttavia questa parte toccò all’asino. Il programma del Wyatt suonava: una macchina « per filare senza dita ».
(Karl Marx, Il Capitale, Libro I, cap. 13)
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